Bello rivederlo, insieme, distanziati, con la mascherina e nel mio caso… in camice!
Diretto da Mel Brooks, scritto da Brooks e Gene Wilder dopo che Wilder usciva da una serie di piccoli fallimenti cinematografici poi diventati cult (Willy Wonka e la Fabbrica di Cioccolato e Per favore non toccate le vecchiette) fu un’idea nata a tavolino, il frutto di un processo che cominciò con il successo avuto da Wilder con il film di Allen ‘Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso’ (1972).
Wilder aveva già provato di scrivere sceneggiature con poca fortuna, ma il suo agente Medavoy lo spronò a inventarsi qualcosa per collaborare con due suoi colleghi: Feldman e Boyle… e Gene aveva nel cassetto questa storia che riguardava il nipote di Frankenstein.
Ne parlò con Brooks mentre giravano Mezzogiorno e mezzo di fuoco, ma Mel era titubante. Gli sembrava che Frankenstein fosse un personaggio ormai abusato. C’erano già stati diversi gradi di parentela nella filmografia Frankensteiniana. Figli, mogli… Ora anche il nipote?
L’idea di Wilder però era diversa, non voleva soltanto essere un’emulazione… e neppure una semplice parodia.
E qui facciamo un salto indietro nel tempo. Frankenstein chi?
È il giugno del 1816. Siamo vicino al lago di
Ginevra, in Svizzera. È in una notte buia e tempestosa – tutta l’estate fu piovosa e cupa. Riparati nella sala di Villa Diodati ci sono Lord Byron, il suo medico John Polidori, il poeta Shelley, sua moglie e la sorellastra di lei, Claire. Impossibilitati dal godersi l’estate e il lago, i cinque leggono racconti di fantasmi e decidono così di sfidarsi a scriverne uno anche loro.
Mary, la moglie di Shelley, all’epoca non ha neanche vent’anni e non sa che scrivere. Passano settimana, e dopo una discussione riguardante il galvanismo, non riesce più a prendere sonno e si mette alla scrivania. Ha finalmente trovato il suo fantasma: non il mostro, ma il dottore. Un giovane studente di medicina ossessionato dall’idea che l’uomo debba sostiuirsi a Dio grazie alla scienza, sfidando il grande passaggio: l’incognita della morte.
Fu lo stesso Percy Shelley a incoraggiarla a trasformare quella storia nel suo primo romanzo. Le fece persino da correttore di bozze.
“Frankenstein; o il Moderno Prometeo” esce nel 1818 come romanzo anonimo. Mary lo firma solo nella sua seconda edizione, e lo firma come Shelley.
Mary e Percy avevano viaggiato in Germania nel 1814-15, forse lì la ragazza cresciuta con un’educazione anarchico e sul solco lasciato dalla madre che fu una delle prime femministe, aveva visto il Castello dei Frankenstein. Aveva sentito parlare, forse, della storia di Johan Conrad Dippel, l’alchimista vissuto in quel castello nel 1600. L’uomo che aveva creato un elisir di lunga vita… Si diceva cheche Dippel praticasse l’anatomia e dissotterrasse i cadaveri dal cimitero per poter studiare gli effetti della morte sugli organi dei defunti. Si diceva che aveva fatto rivivere un uomo sfruttando l’energia di un fulmine… ma queste sono probabilmente storie nate dopo il successo del romanzo di Mary. Il fulmine, poi, è una soluzione visiva inventata per l’adattamento cinematografico del 1931. La storia riscrive se stessa, continuamente.
Si tratta di un romanzo epistolare tra il capitano di una missione esplorativa al Polo Nord e sua sorella Margaret. Walton, questo il suo nome, incontra il dottor Frankenstein morente e ne ascolta la cronistoria mentre cerca di farlo curare sulla sua nave.
Nella stessa estate tenebrosa in cui Mary scrisse Frankenstein, Polidori partorì la storia di quello che viene considerato il primo vampiro letterario, gettando benzina sul fuoco del romanticismo per alzare la fiamma del genere gotico ispirando anche Bram Stoker, che uscirà soltanto 70 anni dopo e che ha più di un debito nei confronti del lavoro svolto da Mary.
Sì, ma tornando a Young Frankenstein, cosa c’è di nuovo in questo film rispetto agli altri film del canone Frankesteiniano?
C’è che la sua forma, la modalità con cui è scritto – che è valso un Academy Award ai suoi autori, – sorvola i livelli della parodia a cui si penserebbe che voglia appartenere l’opera e tocca in alcuni punti le vette di una comicità raffinata, che passa attraverso il gusto cinematografico, la fotografia, le musica… gli interpreti. Il conflitto principale del film rimane in un certo senso quello del romanzo, quindi la storia in sé e per sé è lì, intatta tra non-sense di memoria marxista (di corrente grouchana) e momenti di overacting perfettamente calibrati.
Alcune curiosità? Il laboratorio e gran parte delle prop vengono dall’originale capolavoro dell’horror Universal del 1931. Come la classica iconografia del mostro, l’idea dell’elettricità, i fade tra una sequenza e l’altra e i titoli di testa.
E Prometeo cosa c’entra? Mary affianca il dottore a Prometeo – che in alcuni miti Greci è il Titano che crea gli uomini – e non lo vede come un eroe, bensì una specie di demone che corrompe l’uomo dopo avergli dato vita, portandolo a mangiare la carne… perchè? Percy Shelley, il marito di Mary, fu uno dei primi nell’età moderna a scrivere dei saggi sul vegetarianismo.
E come mai Mel Brooks nel film compare solo per un breve cameo? Non è da lui… ebbene, ha dichiarato che questo era il risultato di un patto con Wilder.
Avrebbero scritto il film insieme, ma Wilder non voleva che Brooks ci recitasse. Forse anche questo permise al regista di concentrarsi di più sulla regia e sulla resa estetica di questo piccolo capolavoro del sorriso che mantiene intatta l’iconografia orrorifica da cui nasce.
Guardate quesot film e vi verrà voglia non soltanto di ridere e vedere altri film di Brooks come Spaceballs, ma di approfondire la storia di Mary, di Shelley, del mostro e magari anche il resto dell’ampia filmografia. Compreso il tremendo I, Frankenstein del 2004 (quello sì che sembra una parodia).
Le citazioni sono tante e mi piace chiudere con la pettinatura di Elizabeth – la fidanzata di Frederick, un nome non nuovo per chi ha letto il libro, – che ricorda quella della creatura ne ‘La moglie di Frankenstein’… Proprio in quel film c’è un brindisi con cui io ho deciso di aprire il mio nuovo romanzo “La morte è uguale per tutti” (Pendragon) uscito proprio da pochi giorni.
“A un nuovo mondo di dei e mostri.”
Oggi più che mai, non saprei da che parte stare.
Una cosa è certa, la paura e la risata sono vicine di casa: abitano dalla parte opposta del cuore e se teniamo aperta le sue finestre una corrente vivace può passare dall’una all’altra alleggerendoci un pochino anche i momenti peggiori.
E quest’anno abbiamo più che mai bisogno di sorridere di fronte alla paura.
Grazie al Comune di San Giorgio di Piano per l’invito, all’Ass. Zucchini e alla loro meravigliosa bibliotecaria Sara Chiessi.